Storia dell'archivio
L’archivio della Corporazione (chiamata Università dei borghesi fino al XIX sec.) è attestato per la prima volta nel 1596 nell’inventario delle scritture de Signori Borgesi Locarnesi, un fascicolo dove si elencano i documenti allora conservati in archivio e aggiornato, in seguito, fino al 1656.
Un confronto fra le carte citate in tale inventario e quelle ancora oggi presenti permette di farsi un’idea delle numerose perdite subite dall’archivio nel corso dei secoli. Si tratta di un fenomeno pressoché inevitabile, facilitato nel caso specifico dall’abitudine da parte degli amministratori del tempo di portare a casa i dossier in corso, dimenticandosi poi al termine del loro incarico di restituirli. Proprio per questo nel 1625 il console dei Borghesi, avendo notato che se ritrova manchare molte scriture et non sapendo co’ che altro modo potendo ricercarle, dovrà recarsi di casa in casa, chiedendo a ogni vicino di dichiarare, sotto giuramento, se possiede documenti dell’Università dei borghesi.
Le informazioni sulla gestione dell’archivio sono assai scarse fino al XIX secolo, quando fra i responsabili della Corporazione sembra diffondersi una maggiore sensibilità nei confronti dei documenti, ritenuti importanti soprattutto per il loro valore probatorio e amministrativo. Nei regolamenti della Corporazione troviamo infatti diverse disposizioni sulla tenuta dei documenti. In quello più antico (entrato in vigore prima del 1848) l’articolo 47 prevede che annualmente il Congresso nomini nel suo seno una delegazione che abbia a verificare lo stato delle carte nell’archivio, la loro presenza o mancanza, e ne faccia rapporto. Altre normative disciplinano l’accesso ai locali e agli armadi e danno qualche vaga indicazione sulle modalità di archiviazione.
E’ difficile stabilire in che misura tali disposizioni, che ricomparvero in parte nei regolamenti successivi, abbiano influito sulla struttura della documentazione. Probabilmente fra l’inizio dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale la maggior parte dei documenti era archiviata in base a criteri cronologici (in particolare la corrispondenza e i documenti contabili) mentre solo una piccola quantità di atti relativi a singole cause e oggetti era riunita a seconda dell’argomento.
Una svolta decisiva nelle modalità di archiviazione avvenne grazie al cancelliere Fausto Perpellini, entrato in carica nel 1941. Amministratore meticoloso e preciso, introdusse una nuova organizzazione della documentazione, suddividendola in serie e raggruppandola in dossier a seconda dell’oggetto. Questo sistema, messo in pratica a grandi linee anche dai suoi successori, ha permesso in sede di riordino di mantenere sostanzialmente l’assetto originale dei fondi successivi al 1941.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’archivio cominciò ad affermarsi anche per il suo valore culturale, risvegliando l’interesse di storici e ricercatori. Dopo qualche difficoltà iniziale Emilio Motta riuscì ad accedervi nel 1881. All’inizio del XX secolo anche lo storico Karl Meyer poté consultare la documentazione e la utilizzò per la sua ricerca sui Capitanei di Locarno.
Risale pure agli ultimi decenni dell’Ottocento il primo tentativo di riordino sistematico delle carte più antiche, che vennero suddivise (non sappiamo esattamente quando e da chi) in una ventina di categorie e parzialmente dotate di attergazione. Tale ordinamento, che probabilmente cercò di ricalcare la struttura originaria dell’archivio, fu poi completamente alterato dalle successive sistemazioni e dagli utenti dell’archivio, sempre più numerosi a partire dal secondo dopoguerra e non sempre rispettosi dell’organicità della documentazione.
Un altro riordino di vasta portata (rimasto tuttavia incompiuto) è stato condotto da Padre Rocco da Bedano e da Virgilio Gilardoni negli anni ’70 del secolo scorso nel quadro della pubblicazione dell’Opera svizzera dei monumenti d’arte e di storia (OSMA). Padre Rocco e Gilardoni ordinarono cronologicamente le pergamene, pubblicandone i regesti nell’Archivio storico ticinese, e suddivisero sommariamente i cartacei d’epoca balivale secondo una sistematica utilizzata anche in altri archivi del Locarnese e attenta soprattutto alle esigenze della storia dell’arte.
A seguito di un esame dell’archivio da parte del dott. Rodolfo Huber, autore nel 1998 di un rapporto sullo stato della documentazione e di un primo inventario di massima, la Corporazione decise nel 2001 di intervenire per rivalorizzare e rendere accessibile questo importante patrimonio storico, commissionando il lavoro di riordino al Servizio archivi locali dell’Archivio di Stato, che dal 2001 al 2007 ha curato il riordino dell’intera documentazione.